Valberici,
Naeel e anche
Gamberetta hanno espresso recentemente la loro opinione sul tema scrittura come principale e unica fonte di lavoro. In particolare Gamberetta, fautrice del sacrosanto diritto di fruizione gratuita della cultura, riportò un esempio di un autore che, dopo essersi dedicato esclusivamente alla scrittura, non riuscì a mantenere il livello qualitativo delle sue produzioni. Su questo punto mi trova d’accordo, e spiegherò in seguito il perché.
Donc, riporto a proposito il mio particolare punto di vista che, tengo a precisare, è assolutamente soggettivo e deriva dalla mia breve esperienza. Un altro autore potrà dire l’esatto opposto, perché la sua crescita è stata magari diversa dalla mia.
1. Mantenersi economicamente con la scrittura è un’impresa alquanto difficile in Italia, specie nel fantasy che è un genere di nicchia. Non giriamoci tanto attorno, tutti noi a fine mese abbiamo mutui da pagare, bollette, condomini, assicurazioni, varie ed eventuali. Le percentuali sul guadagno dei libri (le famose royalties) sono in genere basse, per cui se l’unica fonte di reddito fosse la scrittura occorrerebbe una vendita di diverse decine di migliaia di copie per anno.
2. Se la scrittura fosse un lavoro, cambierebbe totalmente il mio rapporto con essa. E’ un concetto che ribadisco spesso durante le mie presentazioni. Attualmente interpreto la scrittura come un hobby (per quanto tremendamente impegnativo) e questo mi permette di viverla con sincera passione. Mi dà la possibilità di non scendere a compromessi, e anche di rifiutare offerte di case editrici intenzionate a stravolgere il mio libro pur di farlo rientrare in una loro paticolare (e discutibile) concezione editoriale (per chi ha apprezzato Prodigium, sappiate che mi riferisco proprio a lui. Se lo leggete così com’è, è proprio perché non sono sceso a compromessi). Se la scrittura fosse la mia unica fonte di reddito, sono sicuro che si trasformerebbe in un incubo, perché sarei costretto a fare di tutto pur di vendere una dannata copia. No, non mi voglio ridurre così, non lo accetto.
3. Adoro il mio lavoro. Ho studiato per 6 anni all’università, faticando non poco per avere una laurea in ingegneria, e non voglio mandare tutto a monte. D’altro canto, adoro il mio lavoro. Mi completa, mi realizza, mi soddisfa.
4. La scrittura è alienante. Scrivere non solo è faticoso, ma implica spesso la necessità di isolarsi dal mondo circostante. Io, di natura, sono un gran rompiballe. Ho bisogno di sfogarmi con gli altri, e di essere mandato puntualmente a quel paese. No, non posso vivere senza il contatto con i colleghi e Virgola, mi spiace dirlo, non sopperisce a questa necessità.
5. L’ispirazione è un fattore aleatorio. Se la scrittura fosse un lavoro, dovrei stabilire un planning di produzione, un po’ come ci racconta King nel suo famoso “On writing“. Bene, io non ne sono capace. Preciso che creo sempre uno storyline prima di iniziare la prima stesura, ma le idee migliori arrivano sempre “on the fly”, spesso sconvolengo lo scheletro che mi ero costruito a priori. L’ispirazione, la famosa lampadina accesa, arriva nei momenti meno aspettati. Mentre corro in palestra, mentre sono imbottigliato nel raccordo anulare. Se mi metto davanti un foglio bianco, vi assicuro che non scriverò una solo concetto sensato. Infine, non posso stabilire se la mia attuale “capacità di trarre ispirazione dal mondo” potrebbe subire cambiamenti o evoluzioni in futuro.
6. La scrittura necessita di tempo. Questo è il lato negativo di avere un lavoro che ti occupa per 8 ore al giorno, in quanto mi costringe a scrivere dalle 21 alle 2 di notte. Me ne accorgo in seconda stesura già dalle prime righe del capitolo, capendo se quella particolare sera mi ero “costretto” a scrivere seppur stanco e poco ispirato. La cosa più ovvia, direte voi, sarebbe quella di non mettersi fretta e scrivere solo quando si è realmente “in forma”. Beh, vi assicuro che è impossibile. Non tanto per un discorso tempistico (non crolla il mondo se il libro successivo esce dopo due anni invece che uno) il problema è la perdita di coerenza. Se la scrittura di un libro occupa un periodo troppo lungo, si incorre nel rischio di “dimenticare” particolarità della trama e dei personaggi, rendendo la storia disomogenea e trasformando la seconda stesura in un vero dramma.
Donc, non fate caso al fatto che nel 2008 (e probabilmente anche nel 2009) sono uscito con due libri. I tempi di pubblicazione non sono mai quelli di scrittura: Estasia 1 è stato scritto parte nel 1990 parte nel 2005, Estasia 2 nel 2006, Prodigium nel 2007 e Estasia 3 nel 2008.
7. Il processo migliorativo si evolve negli anni e nei libri. Un libro, per un motivo puramente ispirativo, necessita minimo 8 mesi per completarsi. Come dicevo nel punto precedente, l’ispirazione non arriva davanti a un foglio bianco. Se dovessi scrivere un libro in due mesi, la trama sarebbe qualcosa di insulso e piatto. Spesso infine c’è la necessità di documentarsi, Wikipedia aiuta ma non sempre è sufficiente.
Il processo migliorativo segue quindi un’evoluzione negli anni e nel tempo. E’ necessario un gap temporale per prendere atto dei propri errori, decidere le “strategie” successive, rischiare nuove sperimentazioni.
Beh, credo di aver espresso (quasi) tutto sull’argomento.