ATTO 1
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Arriva un SMS: "Chiami il numero 800.xx.xx per blocco carta"
"Bah, il solito messaggio per spillarmi dei soldi" mi dico. Qualcosa non mi convince. E’ un numero verde, non ci sono inganni.
Chiamo.
«Dica Servizi o Blocco Carta» risponde una voce metallica preregistrata.
«Uhm…»
Mi sento scemo e dico "blocco carta", come era scritto nell’SMS. Non è che la frase prometta nulla di buono, ovvio.
Risponde un operatore.
"Ah, che bello, un essere vivente. La razza umana non si è ancora estinta."
L’uomo mi chiede un po’ di dati: nascita, nome cognome, numero carta, codice fiscale. Aspetto che mi chieda anche la taglia dei boxer ma, con mio grande sollievo, mi dice che va bene.
«Salve mi è arrivato un SMS per il blocco della mia carta di credito. Credo sia uno scherzo» continuo, tanto per ravvivare la conversazione un po’ monotona.
«Esatto, lei è stato clonato.»
Ecco, immaginatevi voi, di sabato mattina alle 10, appena sveglio, come può essere ricevere una notizia del genere. La caffeina è appena andata in circolo, e i neuroni ancora sbadigliano assonnati.
«Mi ha sentito? Lei è stato clonato.»
Mi guardo attorno, inebetito. In sala ci sono solo io. Sì, c’è una roba arruffata e con il viso gonfio sulla parete, ma se non sono del tutto rincitrullito dovrebbe essere la mia immagine riflessa. Mi sono svegliato da poco, ma sono capace di riconoscere uno specchio, cacchio.
«Hum…»
Mi alzo sulla punta dei piedi per vedere la cucina. Nulla, nessun Falconi clonato. Peccato, sarebbe stato un sabato divertente. Nello stesso istante, un brivido corre lungo la mia schiena.
"No, tutto ma non questo. Ditemi che non c’è una Virgola clonata. Alzo bandiera bianca.
Per fortuna l’ometto del call center inutisce di aver un tonto irrecuperabile dall’altra parte della cornetta e prende l’iniziativa.
«Nel senso che la sua carta è ad alto rischio clonazione.»
Tiro un respiro di sollievo. La parola "clonare" è inquietante, ma se si tratta di un pezzo di plastica come la carta di credito non mi fa così paura.
O forse no. Cacchio, lunedì parto per Helsinki, come faccio senza carta di credito? Una scarica elettrica attiva tutti i neuroni insieme. Vomito parole all’ometto senza volto.
«Mi spiace, ma avendola avvertita se ci sarano transizioni illegali non sarà risarcito. La blocco?»
"Oddio, questo fa sul serio. Mi blocca. Virgola aiutami, ti prego."
«Signore, si decida. Blocco la sua carta o preferisce rischiare?»
I neuroni litigano fra loro. Uno tira fuori un’alternativa, ma quello accanto lo smonta. Una guerra senza fine.
Li mando a quel paese, brutti neuroni incapaci, e decido da solo.
«Mi blocchi.»
Silenzio. Il sole si eclissa dietro la nuvole.
«Le comunico che è bloccato.»
"E io di andare a fanculo" penso.
Un neurone mi bacchetta. L’ometto senza volto l’ha fatto per la mia sicurezza.
Mi trascino con le braccia ciondoloni in cucina. Virgola mi guarda e scondinzola. Chissà perché, ma sembra felice.
Virgola, secondo me, sta ridendo.
ATTO 2
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Risolto. Mi sono ricordato di avere un’altra carta di credito, mai usata. La attivo subito.
Bene, posso riprendere la mia giornata, ho un sacco di cose da fare, tra cui scrivere e fare footing alle 19.
Faccio una capatina in terrazza, visto che durante la settimana non ho mai tempo di sistemare la mia foresta amazzonica. Recido i fiori secchi, sistemo le piante qua e là.
«Merda» borbotto. In un angolo della terrazza è montato un grigliato di legno, e il gelsomino ha invaso ogni spazio libero, senza senso. Devo sistemare i rami e intrecciarli.
Barriera architettonica. Madre natura mi ha concesso 1,73 cm di altezza. Forse la troppa intelligenza è scesa a patti con la forza di gravità. By the way, afferro una protesi di ferro, comunemente conosciuta con il nome di scala. In realtà è un treppiede, che non mi permette di raggiungere l’angolo più alto.
I neuroni iniziano a litigare tra di loro di nuovo. Uno sembra avere il sopravvento sugli altri e mi consiglia di mettere il treppiede sopra il divano, guadagnando così altri 40 cm. Un neurone in lontananza biascica che è una cosa pericolosa. Non capisco bene cosa voglia dire, credo blateri una parola del tipo "equilibrio instabile".
"Instabile sarà la tu’ sorella" penso e do retta al primo neurone, quello più audace.
Immaginatevi la scena di me arrampicato su un treppiedi che oscilla come un pendolo. Insomma, mi sento molto Spiderman e riesco nell’impresa.
Sono soddisfatto, posso depennare la voce "terrazza" dalla mia todolist del sabato. Ma quando sto per scendere, noto che il nido del merlo è vuoto.
"Vai, si sono levati dalle palle!" penso con gioia. Mi sporgo ancora, e il baricentro vacilla sul vuoto. Giro un po’ il nido e guardo cosa c’è dentro.
Inorridisco.
Cinque esseri marroni scuri, senza piume, con gli occhi sbarrati. Cinque piccoli merli appena nati. Cinque uccelletti orripilanti e disgustosi.
"Va beh, lo sapevo" faccio buon viso a cattivo gioco. "Belli, cari! Confido nel vostro imprinting, vedete di levarvi dai piedi presto!"
Un sorriso smagliante, e mi volto per scendere.
Una cosa oscena mi guarda con due occhi neri come la pece. Neri come fulcri di tenebra.
La madre Merlo ha una roba schifosa serrata nel becco, credo una poltiglia di vermi informi che ancora si muovono.
I neuroni urlano. Io urlo. ll merlo rimane impassibile.
Perdo l’equlibrio e cado. Mi aggrappo un po’ a tutto, lancio la ragnatela dai miei polsi, forse rompo qualcosa. Ma mi salvo.
Respiro con affanno e guardo in alto.
Il merlo, secondo me, sta ridendo.