Leggendo alcuni commenti in rete, percepisco un pensiero piuttosto comune che si può riassumere nei seguenti concetti:
- In Italia è praticamente impossibile pubblicare se sei un esordiente
- In Italia non arrivi alle grandi case editrici se non hai un aggancio o una spinta
- In Italia gli autori sono maltrattati dagli editori, spolpati quando possibile
- In Italia gli editori non hanno intenzione di far crescere i propri autori, ma solo creare il caso editoriale a fine speculativo
Luoghi comuni? Certo. Il che implica che ci sia del vero e del falso. Come sempre.
Ora, non voglio sindacare ciascun punto, l’ho già fatto in passato riportandovi la mia esperienza che, seppur piccola, riguarda 5 editori di media grandezza in quasi 5 anni. Ma non sopporto i piagnistei all’italiana, in cui tutto si riduce al motto: si sa, siamo in Italia! Se fossimo all’estero invece…
Se fossimo all’estero, invece, la situazione non sarebbe così rosea. Ovvio, ogni paese ha il proprio mercato editoriale, differente da quello italiano. Peggio sotto alcuni aspetti, migliore in altri.
Ma leggiamoci anche l’ultimo articolo di Fabio Deotto su Repubblica, in merito alla Full Fathom Five, una content factory creata dall’autore James Frey. Ecco, leggiamo con attenzione, perché anche nella gloriosa america gli esordienti devono farsi il “culo tanto” per arrivare a pubblicare. Sottopagati, sfruttati, marchiati con un bello pseudonimo che in Italia piace tanto per l’esterofilia dilagante. Quindi, come fare? Semplice. Lamentarsi, inveire, offendere, perdere tempo a indagare su presunte cospirazioni non serve a un tubo.
- Punto uno: essere convinti che il proprio lavoro sia ben fatto. E questo punto è un baratro X che quasi inghiotte anche il numero 2, 3 e 4. Perché, si sa, l’autore preferisce tagliarsi un braccio che tagliare il proprio testo.
- Punto due + X: Inviare il testo. Aspettare le risposte. Cestinare senza lacrime le preimpostate, ragionare su quelle più articolate (rare, e farlo sempre dopo aver sbattuto la testa sette volte contro lo spigolo del letto. Il dolore annebbia la mente e l’orgoglio).
- Punto tre + X: Arrivata la risposta positiva, capire se il contratto prevede sborso di quattrini. Su, non siete degli idioti. Pagare l’editing, comprare delle copie, eccetera eccetera sono dei modi fantasiosi per incularvi. Full stop.
- Punto quattro + X: scegliere la strada degli agenti e della content factory. Scelta che condivido, qualora voi non sborsiate neppure un cent per la fantasmagorica scheda di lettura. Che vadano a quel paese loro e la scheda.
E se mi chiedono di fare il ghost? Di affibbiarmi uno pseudonimo? Vostra scelta. Non c’è nulla di male, ma cercate di indagare sull’onestà intellettuale dell’agenzia. Quanti prima di voi hanno seguito quella strada? Per quanto tempo? Quanto hanno guadagnato? Perché sì, dire che lo “scrittore è un mestiere” non è una vergogna. Commento stupido? Non direi. Non sapete quante volte ho sentite le persone sostenere (magari in modo non troppo esplicito) che gli scrittori sono dei fannulloni, dovrebbero scribacchiare nel tempo libero e trovarsi un vero lavoro con il quale sudarsi lo stipendio.
Risposta? Fornitegli la google maps per quel posto dove non batte mai il sole.
Infine, non crediate che questo sia un trampolino di lancio, è magari un modo per imparare a lavorare in un team e apprendere qualcosa che non conoscevate. Il che non è affatto un male, ma poi occorre capire quando è giunto il momento di cambiare strada e camminare con le proprie gambe. Essere onesti con se stessi. E’ più importante la passione nella scrittura o il Dio Quattrino?
Fate vobis.
No, non è l’Italia. Funziona così in tutto il mondo.
Buon risveglio.