A volte mi soffermo a pensare che il mio concetto di “finale di una storia” spesso e volentieri non coincide con quello dei lettori. Non solo, in molti casi viene percepito come qualcosa di “non compiuto”, il che può essere anche sinonimo di chiusura affrettata.
Bene, ci ho ragionato su, perché questo tipo di opinioni mi spinge a riflettere. Ovviamente, dal mio punto di vista, non è affatto così. Anche perché, lo sapete, prima di cimentarmi nella scrittura di un libro impiego circa un paio di mesi (se tutto va bene) per la definizione del set-up e del plot, e nulla viene lasciato al caso. Tutt’altro, vista la mia deformazione professionale di ingegnere. Anzi, le uniche parti che non ho mai cambiato in un romanzo durante la prima stesura sono proprio l’incipit e il finale. Poi, certo, possono essere dei risvolti inaspettati che mi spingono a rivedere delle scene, tagliarne o aggiungerne altre. Ma sono sempre eventi secondari.
Ora, perché alcuni finali dei miei libri sembrano “aperti”?
La prima risposta è quella più ovvia, ossia perché sono quasi sempre “agrodolci”, se vogliamo chiamarli così. Lo sapete, detesto il “vissero e felici e contenti”, con i due protagonisti che scompaiono mano per la mano e ogni problema è stato risolto come la compilazione del 730 da un commercialista.
Sono pessimista di natura? No, sono realista. Non scrivo delle fiabe, scrivo dei romanzi. Non ho mai scritto un libro generazionale, non vi ho mai raccontato la storia di un personaggio dalla sua nascita alla sua morte. Ho estratto una porzione della sua “vita”, ve l’ho mostrata. Con dei flashback o altri stratagemmi, vi ho parlato del suo passato. Con dei piccoli spunti, vi ho lasciato intendere un probabile futuro. Un futuro che siete proprio voi lettori a riempire con la fantasia.
Ci sono cose lasciate in sospeso? Perché non dovrebbero esserci? Dipende da come le interpretiamo. E’ ovvio che se ho giocato con la curiosità del lettore e vi ho seminato una serie di indizi ho il dovere di fornirvi la risposta. No, non scrivo trame alla Lost, sia ben chiaro.
La questione, invece, è che nei miei libri mi piace giocare con un nutrito team di personaggi, protagonisti e antagonisti. Ora, ne avessi tra le mani 2-3 sarebbe semplice e naturale…. “sistemarli”. Ma se mi muovo con una decina, è totalmente assurdo che nel finale “Tutti i cattivi muoiano e tutti i buoni risolvano le loro grane”. Fa molto cartoon anni ’80.
Perché nella vita reale non è così. Viviamo delle avventure, delle emozioni, degli squarci della vita altrui. Ma quando un capitolo della nostra esistenza si conclude, ognuno si muove per la loro strada. E così deve essere anche in un libro. Non tutti i sogni si avverano, non tutti i desideri saranno esauditi. C’è sempre la volontà di farlo, la speranza di raggiungere quell’obiettivo in futuro. Perché senza sogni e speranze, non avrebbe senso la nostra vita. Né ci sarebbe un futuro.
Alcuni rimangono scandalizzati se “qualche cattivo” resta in vita, o fugge, o promette una futura vendetta. Perché, nella realtà non è così? Fermare Hitler ha implicato cancellare l’esistenza del nazismo? Magari.
Anche qui, sarebbe irreale “annientare” ogni antagonista. Anzi, mi correggo, sarebbe più semplice ma disonesto. E’ proprio il contrario, questo sarebbe un finale affrettato. Come una bomba atomica virtuale che sistema ogni grana e snodo, e accompagna il lettore felice e contento verso un finale che non gli lascia alcun dubbio.
Dubbio. Proprio così. Pensieri, congetture, è proprio il mio scopo. Perché se arrivate all’ultima pagina, al famoso “the end” e volete sapere ancora cosa succede, non è incompiutezza, è stimolo per la vostra immaginazione.
Oppure per la mia, come leggete nel sondaggio a destra.