Bene, il post seguente è uno di quelli estremamente impopolari, che mi farà perdere voti alla prossima elezione dello scrittore con più peli sulla lingua. Ergo, se amate il Falconi diplomatico e non volete che s’incrini un’immagine così sfigatamente perfetta, saltate al post di domani dove reprimerò (da bravo scrittore di sinistra) l’intolleranza verso il genere umano.
Donc, ho deciso di telefonare al bioparco di Roma, nella splendida villa borghese, per chiedere un piccolo spazio (ma piccolo, davvero) per curare un essere in via di estinzione: il lettore. Esatto, proprio quella creatura preistorica che legge i libri per il gusto di vivere la storia, i personaggi, il romanzo. Lo so, impresa titanica. E’ più probabile aprire una finestra e veder volare uno pterodattilo.
Non mi arrendo. Sono convinto di riuscirci prima di tirare le cuoia. Perché, sapete, non è affatto facile. E’ che diventare uno scrittore implica automaticamente fare una montagna di soldi ed essere famoso come una velina. Di più, adorato, celebrato. Un simbolo, un’icona, un miraggio. Appunto, un miraggio. O un abbaglio. Come quello che prendono quasi tutti gli esordienti, che sono i più forti lettori. Forti, sì. Quelli che hanno la forza di distruggere il loro tempo per scrivere recensioni chilometriche sui libri, scandagliando ogni parola alla ricerca “del più minimo” errore. Una virgola sbagliata? Zak! Eviriamo l’autore. Imbalsamiamo l’oggetto o lo cremiamo. Perché cremare l’opera che stiamo scrivendo è troppo difficile. E le difficoltà di solito si evitano, per imboccare le due strade seguenti:
A- Ecco un po’ di stronzate lette a giro, bevetene tutti: Gli editori sono tutti corrotti. Si pubblica solo per raccomandazione. In Italia non si pubblica fantasy se non sei di sinistra. Non esistono editori a pagamento.
B- Gli scrittori italiani sono un branco di pecore. Ho letto le prime tre parole del prologo. Terribile. Davvero. Non sei degno di pubblicare. Tu pubblichi io no. Mi stai togliendo spazio. Devi morire. Non ho lo stomaco per andare avanti.
Già, più facile l’editoria a pagamento. Poveri. Tesorucci. E’ il grande trampolino, non lo sapevate? Certo, dritti nel cesso. Ah, ma che sciocco, vero sono stato pubblicato. Troppo semplice dal mio podio. Già, ma essere pubblicati non implica che tutto sia rosa e fiori. Sapete, ci sono alcuni editori che considerano gli autori l’ultima ruota del carro. Come? Chi? Già, gli autori, quelle bestie che stanno nella gabbia del bioparco vicini all’ultimo lettore sfigato che legge senza voler diventare la scrittovelina. Sono loro che creano le storie, si sbattono giorno e notte per dare vita al morbo che hanno dentro l’anima. Ma sono i meno importanti. Che volete farci, a volte capita di scordarsi di dire anche quante copie abbia venduto il suo libro. Vade retro! E’ peccato chiederlo a un editore. Perché a volte lui si dimentica. Come l’Armando Curcio Editore che da aprile si è dimenticata di farmi sapere le vendite di Estasia e, di conseguenza, pagarmi i diritti.
Perché un autore deve essere pagato? Come, non scrivevi solo per passione e per far arricchire gli altri? Vergognoso, brutto e venale, in gabbia! E portaci pure i tuoi diritti. Tanto facciamo come ci pare.
Ah, dimenticavo, poi ci sono quelli che ti amano, ti adorano, ti strapazzano come un pelouche perché tu sei la chiave di volta dell’arco che loro attraverseranno baldanzosi per raggiungere la pubblicazione. Ma quanto ti amano. E ti baciano. E ti ribaciano fino all’ultima goccia di saliva. Anch’io vi amo. Vi amo da morire.
Cari, egregi, stimati, caritatevoli. Guardatevi attorno. Le rose e i fiori si stanno appassendo.