Il Lebensunwerten Lebens esiste ancora

Leggevo poco fa l’articolo della sospensione del film di Cameron, Avatar, in Cina. Film che non ho ancora visto, premetto, ma che guarderò questa sera. I motivi _ o meglio, illazioni _  sono riportate nell’articolo. La notizia giunge dopo pochi giorni dalla “minaccia” di Google di abbandonare la Cina, se continueranno le censure del regime di Pechino.

Sono stupidate naturalmente, se si pensa a un paese dove ci sono problemi ben peggiori, quali la pena di morte e altre atroci conseguenze di cui vi parlai tempo fa. Dulcis in fundo, tanto per rimanere sui punti salienti, la nota violazione dei diritti umani nei confronti delle minoranze etniche e religiose, come il Falun Dafa e l’occupazione del suolo tibetano. Questi sono tutti fatti arcinoti, naturalmente, ma la lesione dei diritti umani va ben oltre. Esiste per esempio la cosiddetta “Legge del figlio minore”, che si può sintetizzare così:

E’ in vigore dal 1979 ed è denominata “Legge eugenetica e protezione della salute”. Emanata per impedire un’ eccessiva crescita demografica e preservare le risorse del Paese, impone alle famiglie un solo figlio e maschio; due per le famiglie rurali se si ha avuto una primogenita, ma, se anche il secondo nascituro è una femmina per la famiglia rappresenta una sciagura, significa veder estinguere la propria dinastia.
Anche alle coppie urbane è concesso di mettere al mondo il secondo figlio purchè, a loro volta, gli sposi siano figli unici.
Le famiglie agiate possono decidere di procreare figli ma viene loro applicata una pesante sanzione per ogni figlio nato dopo il primo. Chi non paga vedrà sottrarsi irrimediabilmente la casa e il lavoro.

con delle conseguenze che fanno accapponare la pelle:

In via ufficiale il governo condanna l’utilizzo di metodi cruenti per applicare il controllo delle nascite ma, nella pratica, gli addetti all’ ispezione formano degli “squadroni dell’aborto” : catturano le donne incinte e le tengono in carcere fino a quando non convengono di sottoporsi all’interruzione di gravidanza e in seguito le sterilizzano.
In caso di nascita, i bambini non avranno il diritto alle cure mediche, né ad andare a scuola e per loro non è prevista nessuna forma di assistenza sociale. Le bambine sono le principali vittime. Dai dati il 97% degli aborti è rappresentato dai feti femminili; oltre due milioni di bambine vengono uccise appena nascono. I medici professionali sono autorizzati dal governo a sopprimere le neonate con una iniezione letale e a far passare il loro infanticidio come un decesso naturale, dovuto a polmoniti o a una crisi respiratoria.

Figlie fantasma che: “Non andranno a scuola e verranno schiavizzate e a loro volta rese madri sin da tredicenni. Quando avranno svolto anche questa mansione, non serviranno più e saranno torturate.”

Non credo siano necessarie altre considerazioni. Siamo nel 2010, supponiamo che l’uomo abbia raggiunto un livello di civiltà almeno adeguato. Ricordiamo l’olocausto, per non dimenticare cosa accade mezzo secolo fa. Pensiamo quindi al passato, perché è giusto imparare dalla Storia e non dimenticarla, ma non guardiamo il presente. La Cina, e molti altri paesi, dove i diritti umani non hanno alcun valore. Eppure, la Cina non è un paese così lontano. La tocchiamo con mano ogni giorno, abbiamo usufruito delle sue fabbriche fino a ieri. Certo, adesso la Cina inizia a costare, meglio spostarsi in India. Già, la legge dell’economia. Chissenefrega dei diritti umani.

In Cina c’è l’eugenetica.

L’Eugenetica, sì. Brandt. Hitler. Aktion T4. Viktor Brack.L’Angelo della Morte. Arische rasse.

Lebensunwerten Lebens.

Non dimentichiamo. Il passo è breve.

Tutto questo è successo in passato. E non dovrebbe più accadere.

Nuovo sito

Nuovo sito online, creato da Lauryn aka Laura Gargiulo.

Come potete vedere, abbiamo lasciato l’impostazione grafica del vecchio sito, con il logo e alcuni elementi grafici di Fabrizio Furchì. Il tutto sulla piattaforma di WordPress, più performante dell’ormai obsoleto Blogger.

Cosa cambia per voi? Praticamente nulla. Chi era già iscritto alla newletter continuerà  a riceverle. Chi non l’ha ancora fatto, può iscriversi dalla sezione contatti/newsletter.

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E’ tutto!

Niffenegger e King

La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” è uno dei libri più belli che ho letto l’anno scorso. Pochi giorni fa ho avuto modo di vedere anche il film tratto dal romanzo, intitolato “Un amore all’improvviso”. Ecco, già il titolo mi ha fatto storcere il naso. Forse quello che gli aveva dato Niffenegger non era molto cool? Bah, non so. Anche perché di amore all’improvviso in quel libro c’è davvero poco. E’ un amore che dura una vita, al di là del tempo.
Comunque, a parte questo, nel complesso il film non è male. Si perde l’atmosfera “a doppio punto di vista” che dava un tocco di originalità al romanzo, ma alla fine il mood viene rispettato. Insomma, quando si tratta di vedere una trasposizione cinematografica mi aspetto sempre il peggio.
King. Duma Key.
Difficile descriverlo. Anzi, ancor più capire perché per dieci anni ho abbandonato King. Da piccolo leggevo ogni suo libro. Un po’ perché era di moda (IT, Misery, Cose Preziose, Shining non si potevano non leggere), ma anche perché erano effettivamente dei capolavori.
Poi un decennio di vuoto, finché non mi decido a riprenderlo in mano, convinto dalle recensioni positive che ho letto in rete.
King NON mi ha deluso. Anzi, la sua scrittura ha acquistato una freschezza che prima forse non aveva (o io non avevo percepito). Rimane il solito King-issue: la lunghezza. Il nostro Re ama distruggere intere foreste per i suoi libri e, come sempre accade, il romanzo si perde in prolissità. Non che sia noioso, lo ammetto, ma spesso parte per la tangente con interi capitoli che sono opzionali alla trama.
Il finale kinghiano. Dopo dieci anni mi pare soffra degli stessi problemi. Rapido, spiazzante, poco convincente. Nulla a che fare con la delusione di IT, ma avrei preferito che tagliasse qualche altro punto e si concentrasse sulla chiusura.
E poi, l’intrusione del narratore/protagonista che anticipa al lettore la morte di un personaggio. “Fu l’ultima volta che la vidi”. Sinceramente un passo falso che non mi sarei aspettato da King. E’ da principianti, lo dico senza mezzi termini. E andava negli anni 80.
Sospensione dell’incredulità. Uno dei punti forti di King. Ti accompagna per mano nelle pagine, ti stacca lentamente dalla realtà e ti fa vivere il suo mondo. Un mondo che pochi paragrafi prima era assolutamente reale, e pian piano ha colorato con tinte scure, sfumandolo poi nel surreale. Magnifico, direi.
Come magnifico è il suo protagonista. Edgar Freemantle. Dipinto con maestria, tridimensionale, ironico, devastato dall’incidente che gli ha strappato un braccio. Un american dream beffato dal destino. Un’ambientazione particolare e affascinante, l’isola di Duma Key, con i suoi misteri che King ci svela pagina dopo pagina. Così come la contaminazione dell’arte, che si trasfigura in tinte horror.
Insomma, una lettura che mi ha entusiasmato. Non mi resta altro che procedere con The Dome.

Ali spezzate

L’altro giorno leggevo un articolo sull’ennesimo suicidio nel carcere di Sulmona. Non entro adesso nel merito della questione. Non è ammissibile che esistano strutture penitenziarie che spingano i detenuti a togliersi la vita annullando qualsiasi possibilità di recupero. Altrimenti si trasforma in una forma subdola di pena di morte.

Non posso che concordare con l’affermazione: “Il 2010, evidentemente, comincia peggio di come è finito il 2009 – dice Eugenio Sarno della Uil penitenziari – quattro suicidi in 8 giorni sono la prova provata di un sistema non solo incapace di garantire diritti, dignità e civiltà al personale e ai detenuti ma persino incapace di tutelare la stessa vita umana”.

Poi succede una cosa strana. La cronaca diventa vita privata. Ricordi del passato riemergono con prepotenza.

Era il 2004, il primo anno che mi ero trasferito a Roma. Conoscevo poche persone, eccetto i colleghi del lavoro di allora. Pochi amici, tra cui un ragazzo di 27 anni, Alessandro.

Si sa, nella vita si prendono strade diverse, non sempre è possibile mantenere i rapporti con tutti. Specie in una città caotica come Roma, che spesso ti impigrisce e ti toglie la voglia di uscire di casa e andare a trovare amici che non vedi da tempo.

Era l’inverno del 2006 quando Alessandro si tolse la vita. Lo scoprii nel modo più atroce, mandandogli un SMS per sapere come stava. Il telefono mi squillò, ma mi rispose suo padre. Con una frase atroce. Secca. Che ti toglie il fiato.

“Alessandro non c’è più.”

Alessandro era caduto nel vortice di una bruttissima malattia. Inguaribile, invisibile. Una voce maligna che sussurra parole alla tua mente. Spingendoti verso l’inammissibile.

La depressione.

Si può essere depressi a 27 anni? Alessandro apparentemente aveva tutto. Salute, un lavoro che gli permetteva di vivere senza problemi. Eppure la sua mente aveva iniziato a seguire binari sbagliati. Fantasmi di persone che lo guardavano di sbieco, parlandogli alle spalle. Manie di persecuzione che lo spingevano a rifiutare la sua vita.

Finché non ha deciso di aprire la finestra. Di farla finita.

Mi sono sono sentito terribilmente in colpa. Divenni subito parte del circolo vizioso del “se”.

Cosa sarebbe successo se non avessi allentato i contatti? Se fossi stato il suo confidente? Se non si fosse sentito così solo? Se una mia parola l’avesse distratto? Se quel giorno fossimo andati a prendere un caffè?

Se avessi rinunciato al mio egoismo, alla mia pigrizia, alle piccolezze del mio quotidiano? Se avessi compreso quanto gravi potessero essere le conseguenze? Se non avessi sottovalutato la situazione? Se fossi stato più presente? Se avessi dato più affetto?

Forse niente. Forse tutto. Forse avrei rimandato l’inevitabile.

Forse.

Non mi è facile parlare di questi argomenti. Non l’ho fatto per tre anni. Così come non ho mai parlato di mio padre. Forse perché sono cosciente di non riuscire a trasformare sensazioni in parole. Forse perché ho paura di essere mal interpretato. Forse perché questo alla fine non è un diario personale, è pubblico e visibile a tutti. E mi vergogno. Mi sento in colpa. Sento che non sono pronto ad aprire certe porte. A parlare di emozioni così delicate. Di esperienze personali che alla fine sono comunque emerse, influenzando i miei libri.

Segnandomi per sempre.

La morte di (K) Jadel

Per tutti quelli che non hanno ancora letto “Prodigium l’Acropoli delle Ombre“, una frase d’assaggio sulla morte di Jadel, nel sito di Kaizenology. Non è un spoiler, badate bene, Jadel è un personaggio che appare solo in P2 e la sua morte è annunciata nelle prime pagine.
Ovviamente, uno scherzo.
Un po’ come è successo per Lady Naeel, trasposizione letteraria dell’eccentrica Naeel _per gli amici sora Nella_,  nel secondo libro di Prodigium appare un personaggio di nome Jadel. In questo caso, però, ho preso in prestito solo il nome. Non è stata un’operazione di estremizzazione virtual-cartacea, i.e.sora Nella.
Ringrazio per la citazione nel blog Kai J, al secolo Jadel Andreetto, con il quale ho avuto il piacere di fare una presentazione durante lo scorso Mantova Comics. Un autore che stimo, una persona eclettica che è riuscita a spiazzarmi quando chiese al moderatore dell’evento se poteva intervenire dal pubblico invece di “stare in cattedra”.
Richiesta che gli fu negata.
Per questo è corretto ucciderlo.
Perché non ha combattuto abbastanza. :p

Il cimitero delle idee

Nella stanza dove scoppietta il fuoco del paiolo delle necessità, c’è anche quello che chiamo il “cimitero delle idee”. Niente lapidi. Basta con il dark age. A cosa serve? Semplice, il paiolo non può contenere le necessità all’infinito, altrimenti si trasformano in una poltiglia scotta.
Trovate un’immagine qui accanto abbastanza significativa. Un cestino semplice, senza tanti orpelli, con il simbolo recycling stampato su un lato. Parola orribile, a mio avviso, perché dà l’idea di qualcosa di rimaneggiato. Un po’ come incollare dei cocci rotti.
In realtà la situazione è più complessa. Le necessità cuoce nel paiolo per un po’ di tempo. Si aggiungono ingredienti, mai dimenticare un pizzico di sale e di pepe, e si lascia bollire a fuoco lento. Dopo qualche settimana, vado a vedere se è pronto il supercalifragilistichespiralidoso. La assaggio. Se il sapore mi convince aggiungo delle spezie. Se invece mi pare sciapa, la getto nel cestino.
In altre parole, era una finta necessità. Un abbaglio, oppure un’idea poco solida, magari nata da un’emozione momentanea. Un’esigenza che è scaduta troppo in fretta.
Le necessità del cimitero delle idee non sono morte per sempre. Oddio, resuscitare qualcosa da un cimitero sa molto di zombie, lo ammetto. Del resto, non è un vero riciclaggio. E’ qualcosa più simile a una reinvenzione.
La necessità che a una prima cottura non mi ha convinto si può rimaneggiare e rimpastare con qualche nuovo  ingrediente. Spesso basta consultare un buon libro di cucina per avere l’ispirazione e… zac! Pronta una nuova ricetta. Voilà, ratatouille! La necessità finisce di nuovo nel paiolo.
Si aspettano quindi altri giorni. Può essere un’altra perdita di tempo, lo so fin dall’inizio. Perché a volte sperimentare è boooooom! Pericoloso. In altri casi estremamente divertente.
L’importante è sempre tornare di fronte al nostro paiolo.
Vi giuro, i fumi del paiolo non sono tossici. Né corretti con erbette magiche. Almeno credo.